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brawl in cell block 99

Si dice che la situazione fa l’uomo ladro. Ma in realtà il contesto in cui ci si trova a vivere ed agire influisce su tutto il comportamento di un essere umano e può portare alcuni individui ad atti che sarebbero al di fuori del proprio modo di essere, a compiere, per esempio, atti di violenza che mai avrebbero immaginato. Soprattutto quando è in gioco la sicurezza dei propri cari, della propria famiglia e, in particolar modo, dei propri figli.

È quello che capita al protagonista di Brawl in Cell Block 99, secondo film del regista, sceneggiatore e compositore S. Craig Zahler dopo Bone Tomahawk del 2015.

Questa è la storia di Bradley, ex pugile dallo spirito nazionalista ed una forte e personale etica che in qualche modo guida la sua predisposizione verso la violenza. Una tendenza non aiutata dalle difficoltà della vita: siamo, infatti, solo alla scena d’apertura del film e l’uomo ha già perso il lavoro come meccanico e si ritrova costretto a barcamenarsi per guadagnare il sostentamento per la sua famiglia, la moglie Lauren ed una figlia in arrivo.

È quindi costretto a trasportare droga per conto di un suo vecchio amico finché non si trova coinvolto in uno scontro a fuoco tra la polizia e dei trafficanti, scegliendo, proprio per la propria morale, di mettersi dalla parte della legge. Una scelta che non gli evita una condanna e sette anni di carcere, nonché un vile ricatto che lo costringe a dar vita ad una selvaggia escalation di violenza.

Quello che costruisce il regista è un percorso sul quale il protagonista non ha nessun controllo, un’odissea che lo porta in situazioni sempre più estreme, sicuramente più apprezzabile di un’esplosione di violenza gratuita ed ingiustificata. Il suo errore è di indugiare troppo sulla prima fase della storia, tratteggiando il carattere del protagonista ed il contesto in cui si trova, sulla costruzione della base su cui poggerà la sua improvvisa e violenta reazione.

Il risultato è un film che fatica a decollare, sbilanciato, che per più della sua metà lascia lo spettatore in un senso di attesa che rischia di sfociare nella noia; anche quando la violenza, finalmente, arriva, ha sì momenti particolarmente forti e grafici, ma con eccessi che li rendono grotteschi piuttosto che disturbanti per chi è abituato a vedere film di ogni genere.         

Una delusione, quindi? Non proprio, non del tutto almeno. Perché gli estimatori di Vince Vaughn troveranno motivi di interesse nella sua performance, cupa e intensa, nonché più ricca di sfumature di altre sue prove del passato, e perché le sequenze dedicate ai combattimenti hanno alcuni momenti degni di nota. Perché la sua controparte femminile, Jennifer Carpenter, dimostra una notevole intensità, seppur nel ridotto spazio a sua disposizione.

È un film che avrebbe avuto bisogno di essere asciugato per raggiungere un maggiore equilibrio, per essere capace di far vivere allo spettatore la discesa di Bradley verso la tragedia in modo più graduale e fluido, senza lasciargli mai il tempo di uscire dalla storia e perdere il coinvolgimento emotivo necessario ad apprezzarla, viverla e subirne la desolazione.

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